02 Mar Le Signore Del Buon Riso Day
Una mattinata con 3 instagrammer torinesi fra risotti ed eccellenze del Piemonte
“L’idea è questa: ci troviamo da me a cucinare?”
“Sì, sì, sì!” Tre volte.
È così sono venute a trovarmi.
Ma prima ve le presento.
Ognuna di loro ha il suo punto di forza.
Monica è la fata del coppapasta e del sac à poche: concentrata e sorridente, felice come una bambina con i suoi stampini.
Zeudi è maestra nella composizione dei piatti e della tavola: con lei anche uno strofinaccio diventa un drappo regale.
Silvia è una macchina di produttività, e d’altra parte è abituata a cucinare per il figlio che arriva a un’ora, la figlia che arriva dopo, il marito che arriva parecchio dopo tutti.
Monica, Zeudi e Silvia sono presenze abituali sulla nostra pagina Facebook e sul nostro profilo Instagram. Fra le Signore del Buon Riso che da tutta Italia ci mandano ricette, foto e idee preziose che pubblichiamo sui nostri social, loro tre hanno una caratteristica speciale: sono di Torino, proprio come noi. Questo ha permessi di conoscerci di persona, e così più che una collaborazione, si è creata un’amicizia.
Così abbiamo deciso di passare una mattinata con loro a cucinare insieme.
Ma non nella cucina di un ristorante o in un gelido laboratorio di co-cooking; a casa di chi scrive, che ha il piacere di essere l’artefice del gruppo delle Signore del Buon Riso.
E una bella mattina di fine febbraio mi suonano il campanello.
Ad accoglierle non trovano solo me e Maria, che avrà il compito di immortalare le loro gesta culinarie. Trovano tanti prodotti piemontesi di eccellenza con cui cucineremo i nostri risotti. Ho chiesto ad alcune aziende piemontesi di mandarmi dei loro prodotti, per dar modo alle 3 Signore del Buon Riso di cucinare risotti speciali.
A Liquori Bernard, Birrificio Gilac, Salumi Tre Valli Cavour, Cascina Fontanacervo, Caffarel va non solo il mio ringraziamento, ma quello di tutti i cultori del gusto perchè ci hanno permesso di inventare nuovi risotti. E se come diceva Anthelme Brillat-Savarin, “la scoperta di un nuovo piatto è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella” noi oggi abbiamo creato una galassia di sapori.
Infatti le ricette sono nuove di zecca, mai fatte da nessun essere umano.
Partiamo con il risotto integrale alla birra e salame cotto Cavour.
L’ispirazione è l’irish stew, reinterpretato alla piemontese, praticamente un Piedmontese Stew. Cuociamo lentamente il riso integrale in acqua non salata, aggiungiamo la Luce di Gilac, un’intensa birra ambrata doppio malto a bassa fermentazione. Lasciamo cuocere a fuoco lento per oltre 40 minuti, aggiungendo di volta in volta acqua in modo che il riso sia sempre coperto. Poi, quando il riso è quasi cotto, aggiungiamo il salame cotto a cubetti. Un altro po’ di salame lo facciamo saltare a secco in padella antiaderente, lo useremo per guarnire il piatto insieme alla composta di mirtilli Albrgian che ben si sposa con il sapore intenso di questo risotto perché fatta solo con 100% frutta, senza aggiunta di zucchero.
Poi è il turno di un risotto che, inventato da poco, è già amatissimo dalle instagrammer.
Anzi, è scientificamente provato che chi lo assaggia una volta non ne può più fare a meno.
Parliamo del risotto al Serpoul. Il Serpoul è il timo serpillo, un’erba che si raccoglie ad alta quota nelle Alpi piemontesi. Bernard di Pomaretto ne ottiene un liquore aromaticissimo mettendo in infusione i fiori essiccati di timo serpillo in acqua di sorgente, zucchero di canna biologico e (poco) alcol di frumento europeo.
Facciamo tostare il riso con il suo soffritto, poi aggiungiamo una dose di Serpoul a sfumare, come normalmente si fa con il vino bianco. La differenza è che il Serpoul rilascia un profumo intensisssimo di erbe aromatiche di montagna. Verso fine cottura mantechiamo con la toma al timo di Cascina Fontanacervo, che in comune con il Serpoul ha il profumo intenso di quet’erba aromatica, e con Liquori Bernard il fatto di essere nella rete Maestri del Gusto di Slow Foood.
E guarniamo con un rametto di timo che Zeudi ha preso dalla piantina che tiene sul balcone.
Continuiamo l’armonia fra liquori e formaggi con un risotto Carnaroli al Genepy, salame della rosa e robiola al tartufo.
Tre sapori di per sé decisi: unirli è quasi un esperimento alchemico e visionario. Ma a pochi metri da dove siamo ha vissuto un certo Nostradamus, perciò proviamo!
Anche in questo caso usiamo il Genepy a sfumare il riso appena tostato, poi aggiungiamo il salame della rosa, il classico della tradizione piemontese, fatto a tocchetti. Il profumo che si sprigiona è già un concentrato dei sapori piemontesi più puri, più intensi, più irresistibili. Ci guardiamo indecisi: “non sarà troppo la robiola al tartufo?” ma in cucina come in amore e nella vita vince chi osa, perciò in un attimo la robiola al tartufo è a tocchetti, e anche questo purissimo concentrato di Piemonte va nella padella del risotto. Silvia mette la sua pazienza di mamma nel decorare il piatto alternando cubetti di robiola e di salame intorno al risotto compattato in un coppapasta ellittico. La forma ellittica non è casuale, perché questo risotto ti trasporta in un viaggio di gusto senza fine in giro per il Piemonte, i suoi gusti e i suoi paesaggi: dalle campagne del salame della rosa, ai boschi dei tartufi alle montagne del Genepy. Non c’è inizio, non c’è fine, solo un ottovolante di sapori che si rincorrono saltellando vivaci sulle papille gustative.
Dopo questi sapori intensi ci vuole un po’ di dolcezza. E la dolcezza che teniamo a battesimo oggi è il Risotto Gianduiottato.
Invenzione nell’invenzione, perché usiamo i gianduiotti Caffarel, ossia di chi ha inventato questo cioccolatino unico al mondo.
Facciamo tostare il riso Roma in una noce di burro e sfumiamo con l’Abricot Bernard, un liquore dolce ottenuto dalla macerazione di noccioli di albicocche biologiche piemontesi. Il suo profumo è intensamente fruttato e mandorlato, e lo ritroveremo alla fine con gli amaretti. Continuiamo la cottura aggiungendo latte fresco alta qualità di Fontanacervo. Rigorosamente niente acqua e niente sale. Quando si avvicina la fine della cottura, mantechiamo con una tavoletta di cioccolato fondente 86% Caffarel e il risotto è pronto.
Manca il tocco finale.
Ci pensa Zeudi. Un coppapasta rotondo, coerente con la rotondità di gusto di questo inconsueto risotto dolce. Guarniamo con 4 gianduiotti disposti come i raggi del sole più squisito del mondo. Sbricioliamo un amaretto che crea una effetto neve sul piatto. E incoroniamo il tondo risotto con un amaretto inzuppato nell’Abricot. Il risultato è sorprendente: per la prima volta da quando le conosco, vedo le 3 Signore del Buon Riso lasciare da parte il loro compassato garbo torinese per avventarsi sul piatto, attratte da cotanta irresistibile dolcezza.
Ahimè viene il tempo di lasciarsi: è già l’ora che i bimbi escono da scuola, che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core… così Monica, Silvia e Zeudi tornano ai loro impegni di famiglia.
E tornano a casa cariche di bottiglie di birre e liquori, di fette di toma e di salumi, per cucinare altri risotti, inventare nuove delizie, scoprire nuovi modi di essere le nostre amatissime Signore del Buon Riso.
Abbiamo cucinato, abbiamo parlato, abbiamo condiviso momenti magici, soprattutto abbiamo riso, e non è solo un gioco di parole. Abbiamo riso quando Monica ha sguainato la sua incantevole chiffon cake al limone con cui abbiamo fatto colazione prima di metterci all’opera. Abbiamo riso quando Zeudi ha tirato fuori i suoi rametti di timo “che stanno tanto bene con il Serpoul”. Abbiamo riso quando Silvia ha detto “presto presto, metti in freezer i dadi” perché si era premurata di portare il dado fatto in casa!
Quante meraviglie, Signore mie!
D’altra parte, Signore del Buon Riso si nasce.
Arrivederci al prossimo #SignoreDelBuonRisoDay
Mauro Marinoni
Torinese da generazioni, buongustaio dalla prima pappa cucinata da mamma, food-teller dalle elementari quando nel tema libero scelsi di raccontare come aiutavo la zia delle Langhe a fare gli agnolotti. Volevo fare il pianista, l’archeologo, il poeta e lo chef.
Come il pianista sto alla tastiera (anche se di un Mac e non di uno Steinway).
Come l’archeologo scavo alla ricerca delle storie che ci sono dietro al cibo.
Come il poeta racconto queste storie.
Come lo chef mescolo belle parole e buon gusto.
Perché la prima sensazione gustativa non avviene in bocca, ma con i ricordi e le emozioni che il cibo evoca: le papille gustative dell’anima, insomma.