06 Dic Torino Riso Tour – Prima tappa: Alla Ricerca di Ermes
Un riso rosso, un cavaliere invincibile, una pianta miracolosa e uno chef inventivo
Un riso rosso è già qualcosa di magico.
Condito con una pianta che gli alchimisti ritenevano miracolosa diventa ancora più magico.
E il fatto che sia cucinato a Torino, città magica per eccellenza, è il tocco di magia finale.
Iniziamo un percorso che porta i nostri risi nei luoghi più affascinanti di Torino, e ad ogni riso dedichiamo una ricetta creata per l’occasione da Gerla 1927, che del gusto di Torino rappresenta l’anima storica e nobile.
Questo è Torino Riso Tour.
Il nostro Torino Riso Tour parte dal riso Ermes: è rosso, è profumatissimo, e si chiama come il dio greco messaggero degli dei, e come il leggendario Ermete Trismegisto da cui deriva la parola “ermetico”, misterioso.
E di cose ermetiche e misteriose a Torino ce ne sono tante.
Cerchiamo di svelarle nel piatto.
Abbiamo chiesto a Dario Troito, chef di Gerla 1927, di cucinare il Buon Riso Ermes in modo originale, e così ha creato questa ricetta:
Ermes con pesto di spinaci al rafano e robiola di Roccaverano
Come si prepara?
Prima di tutto il riso viene tostato in padella a fuoco vivo.
Poi si aggiunge una crema di spinaci che si ottiene così:
si fanno saltare in padella con un filo d’olio, aglio, sale e pepe, il tutto fullato.
Si regola di brodo vegetale.
Verso fine cottura una generosa grattata di rafano.
Poi viene mantecato a fuoco spento con burro e parmigiano.
E infine la robiola di Roccaverano, disposta a freddo, a tocchetti sul piatto.
Dov’è la componente magica ed ermetica di questo piatto?
Il rafano, pianta officinale, quasi alchemica, dalle virtù ritenute miracolose.
Prendiamo un libro antico e magico, di quelli che si vedono nei film esoterici.
Già l’autore è un personaggio: Gabriele Falloppio era uno scienziato universale come si usava ai suoi tempi, il ‘500: era botanico, anatomista (le famose “tube di Falloppio” prendono il nome proprio da lui), chirurgo, naturalista e alchimista, ricercato come medico personale da regnanti e celebrità dell’epoca.
Nel trattato Secreti di medicina, chirurgia ed alchimia, Falloppio racconta che il rafano messo in infusione nell’acqua
fa indurare il ferro in tanto, che taglierà ogn’altro ferro, come legno.
Radice di rafano e radice di porri, poi le mestica insieme de tutte, ed in quella acua tempera tre volte coltello, o spada, o daga, e con quelli ferri potrà tagliare l’ancudine del fabro, ed ogni altro ferro, come fosse legno.
Un po’ come la leggendaria Excalibur di re Artù, che era alla ricerca del sacro Graal, e forse non aveva mai sentito dire fosse custodito a Torino, indicato da una delle statue della Gran Madre.
Il re Artù di Torino è Emanuele Filiberto, il primo che diede autorevolezza al Ducato di Savoia, e contemporaneo di Falloppio nel tumultuoso XVI secolo.
La sua statua ha un posto d’onore: proprio al centro della piazza più elegante di Torino, piazza San Carlo. La statua raffigura il Duca mentre rinfodera la spada (invincibile, ovviamente) dopo la battaglia di San Quintino del 1557, che vinse contro i francesi, e da cui ebbe inizio il Ducato di Savoia che tre secoli dopo portò all’unificazione dell’Italia.
La statua è dello scultore Carlo Marochetti, che creò anche la statua del leggendario Riccardo I Cuor di Leone che è a Londra, davanti al Parlamento di Westminster. Anche qui, una spada sguainata e invincibile. Probabilmente anche lei messa a bagno nel rafano, che in inglese si chiama horseradish (“radice del cavallo”) ed è quindi pertinente alle statue equestri che ci accompagnano in questa prima tappa del Torino Riso Tour.
Leggiamo ancora sulle pagine ingiallite del trattato alchemico di Falloppio:
“Semente di senape e succo di rafano e mestica insieme e fa un poco bollire, poi infocca il ferro e sarà durissimo. Con questa tempera si dice che fu temperata la spada d’Orlando paladino.”
Orlando paladino, proprio quell’Orlando Furioso che tutti abbiamo studiato a scuola.
Il manoscritto dell’opera lirica Orlando Furioso che Vivaldi scrisse nel 1714 è conservato nella Biblioteca Nazionale di Torino, in piazza Carlo Alberto, davanti alla statua equestre di Carlo Alberto, la cui spada evidentemente non fu temprata nel rafano, perché è storta e snervata. Uno sberleffo del tempo, che simboleggia ironicamente la cedevolezza e la debolezza di carattere di Carlo Alberto, non a caso ricordato come “re tentenna”.
Tutt’altro carattere rispetto a suo figlio Vittorio Emanuele, che infatti divenne il primo re d’Italia, compiendo idealmente il percorso iniziato dal suo antenato Emanuele Filiberto che aveva dato origine al Ducato di Savoia. E proprio all’ombra del colossale monumento a Vittorio Emanuele II sul corso ottocentesco che porta il suo nome, ecco il ristorante Gerla, dove ci sediamo a gustare il risotto Ermes con spinaci e rafano.